Ancora troppo poche le case in classe A e B. E canone concordato ancora troppo poco diffuso (o poco conveniente) in molte città. Sono questi i due elementi che più frenano gli entusiasmi sui reali effetti che il bonus del 20% per chi “acquista per affittare” – previsto dall’art. 21 del decreto Sblocca Italia – potrà portare al mercato immobiliare. In sintesi la norma prevede che l’acquirente (a patto che non sia parente di primo grado del venditore) possa dedurre dal proprio reddito il 20% della spesa per l’acquisto (da un’impresa) di un immobile in classe energetica A o B non di lusso (massimo di 300mila euro, pari a 7.500 euro annui detraibili per 8 anni). Entro sei mesi, l’immobile dovrà essere affittato a canone concordato per 8 anni.
Il provvedimento è promosso dai costruttori: «Abbiamo proposto e sostenuto con decisione questo intervento, perché dopo anni in cui la casa è stata usata come un bancomat, pensiamo che passare a una politica di incentivi fiscali rappresenti un passo fondamentale. In Francia – dichiara il presidente Ance Paolo Buzzetti – grazie alla legge Scellier, alla quale questa misura è fortemente ispirata, in 4 anni sono state vendute 239mila abitazioni, contribuendo in modo importante alla ripresa di un mercato immobiliare in grave crisi». Al caso francese fa riferimento anche Reag: «Immaginiamo che anche in Italia – commenta il ceo Leo Civelli – possano essere introdotti eventuali correttivi una volta che ci si misuri con le mutate condizioni di mercato. Si tratta di scommettere su efficientamento energetico e flessibilità. A patto di aggiornare i canoni concordati».
Più scettici gli altri operatori. «Gli immobili in classe A e B – nota Paolo Righi, presidente Fiaip – sono pochi. Sarebbe stato diverso se la misura fosse stata estesa all’immenso stock di invenduto. Si tratta di un passo avanti, ma la norma costa poco (334 milioni dal 2014 al 2026 secondo le stime governative, ndr) e avrà effetti limitati». Su una lunghezza d’onda simile Tecnocasa: «La misura potrebbe aiutare a smobilizzare una parte di invenduto. L’appetibilità dipenderà soprattutto – spiega Fabiana Megliola, responsabile dell’Ufficio studi – dalla convenienza di ricorrere al canone concordato, che in alcune realtà funziona e in altre, dove l’importo è molto distante dai valori di mercato, meno». In alcune città gli accordi tra proprietari e inquilini non sono infatti siglati da anni: prima di incentivare questo tipo di contratti (cosa già fatta ad esempio con la cedolare al 10%) bisognerebbe farli funzionare. Decisamente negativo il parere di Toscano, che ha calcolato che in base all’offerta del suo portafoglio di vendita solo l’1,9% delle case rispetta i requisiti di efficienza e di prezzo: «I beneficiari saranno pochi – comunica il Gruppo – e i veri destinatari del provvedimento sono i costruttori e non il mercato immobiliare nel suo complesso».
Secondo le prime elaborazioni (vedi il Sole 24 Ore di martedì scorso) i rendimenti netti di questo tipo di investimento possono variare dall’1,9% al 3%. Ma certo l’opportunità va valutata anche in ottica di “conto capitale”: in una situazione di stagnazione e prezzi bassi si potrebbe “scommettere” che tra otto anni le case avranno acquisito valore.
fonte ilsole24ore.it uscita del 19 Settembre 2014