L’ACCETTAZIONE D’EREDITA’

1. L’apertura della successione e il diritto di accettare l’eredità

La morte di una persona costituisce un evento giuridicamente rilevante, poiché al suo verificarsi si apre la successione ereditaria nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto (art. 456). La ragione dell’apertura della successione si fonda sull’esigenza economica che un bene non rimanga sprovvisto della cura e della gestione conseguenti ad una titolarità e per l’evento del decesso, della stessa interruttivo, l’ordinamento richiede che altri soggetti subentrino nei rapporti attivi e passivi che al defunto sopravvivono. 1

L’eredità si devolve per legge o per testamento e la chiamata alla successione legittima è residuale rispetto a quella testamentaria, ossia interviene quando manca un testamento o quando, pur redatto, esso dispone solo di alcuni beni o contiene norme invalide o inefficaci, dichiarate tali per effetto di un’impugnazione, disponendosi quindi sulle quote stabilite dal legislatore in virtù del numero e qualità degli eredi legittimi (art. 457).

All’apertura della successione si realizza la fase della delazione con la quale i successori testamentari e legittimari assumono la qualifica di chiamati all’eredità, così acquisendo il diritto di accettarla attraverso un passaggio ben preciso che l’art. 459 c.c. identifica nell’atto fondamentale dell’accettazione dell’eredità; una volta manifestata secondo criteri e modi che vedremo, essa retroagisce, producendo appunto i suoi effetti dal momento di apertura della successione (art. 459).

Nel periodo che intercorre tra la fase della delazione e quello dell’accettazione l’ordinamento attribuisce ai soggetti chiamati (o delati) il compito di assicurare la conservazione del patrimonio che altrimenti senza una qualunque gestione rimarrebbe abbandonato a sé stesso con il rischio di un possibile deprezzamento economico. E’ conciliato così l’interesse generale alla tutela dei beni che necessitino di essere amministrati con l’interesse specifico del singolo, anche titolare del diritto di mantenere intatto quel patrimonio che riterrà di accettare o meno nello stato e nella consistenza in cui si trova proprio alla manifestazione dell’accettazione. A tal fine il delato potrà compiere tutta una serie di atti finalizzati alla gestione conservativa dell’entità patrimoniale nei confronti di terzi che vantino diritti su quei beni od orientati ad ottimizzarne il valore economico ad esempio con una vendita (nei modi che vedremo) se la semplice conservazione potrebbe rivelarsi addirittura deficitaria o eccessivamente esosa.

Solo nel caso, come vedremo, che il delato non si trovi nel possesso dei beni ereditari potrà essere nominato dal tribunale un curatore dell’eredità cd giacente fino ad un’accettazione, perdurando tuttavia in caso di rinuncia.

Occorre anche precisare che la delazione può essere immediata o successiva con l’accettazione ad esempio riferita al primo caso e valida per il nascituro, concepito o meno, compiuta attraverso legali rappresentanti a tal fine autorizzati dall’autorità giudiziaria, mentre con la delazione successiva non possono accettare immediatamente il chiamato sotto condizione sospensiva o il sostituto, rispettivamente prima dell”avverarsi della condizione stessa o dell’evento che richiede la sostituzione.

2. L’atto di accettazione dell’eredità

Con l’accettazione il delato pone in essere un atto giuridico che lo definisce a tutti gli effetti come erede. Assumendo tale ruolo, egli subentra nella titolarità dell’asse ereditario e dei rapporti ad esso inerenti, senza la facoltà di poter preferire determinate posizioni per escluderne altre, potendo al massimo decidere di rinunciare all’eredità, poiché non è ammessa un’accettazione parziale, condizionata o a termine.

L’atto dell’accettazione è inoltre irrevocabile e non ripetibile, da compiersi entro dieci anni dall’apertura della successione o dall’avveramento della condizione, se posta. Un’unica eccezione riguarda le ipotesi di accettazione con beneficio d’inventario (che di seguito esamineremo) per le quali l’art. 485 stabilisce il termine di tre mesi per il chiamato possessore dei beni ereditari a rendere la dichiarazione entro i quaranta giorni dalla redazione dell’inventario, a sua volta da effettuarsi entro tre mesi dall’apertura della successione.

Un termine ordinario così esteso di prescrizione potrebbe tuttavia alimentare incertezza per i rapporti in essere che riguardino il potenziale erede: basti pensare ad esempio a quegli eventuali suoi creditori che, a conoscenza magari di un patrimonio personale esiguo, ambirebbero, prima possibile, a soddisfare le proprie ragioni sui beni ereditati. In tal caso gli interessati potranno chiedere all’autorità giudiziaria che venga fissato un termine breve entro il quale il delato manifesti la sua accettazione o rinuncia, perdendo il diritto di accettare in caso di inerzia.

2.1. Accettazione pura e semplice e accettazione con beneficio d’inventario

L’accettazione pura e semplice si distingue da quella effettuata con beneficio d’inventario che è ammessa indipendentemente da qualunque divieto del testatore (art. 470), ma tra le due forme la differenza non è solo di metodo perché attiene sostanzialmente al confluire del patrimonio ereditato in quello dell’erede che ha accettato puramente e semplicemente, mentre con l’accettazione beneficiata i due patrimoni rimangono distinti e non si confondono. Ciò comporta che l’erede, chiamato in via generale a rispondere di obblighi e pesi ereditari del de cuius anche oltre il valore dei beni passati per successione nella sua titolarità, accettando con beneficio d’inventario limiterà la sua responsabilità per le passività del defunto alla sola consistenza dell’attivo ereditato, senza che possa essere intaccato il patrimonio personale.

In tale ottica le eredità devolute ai minori (nonché ai minori emancipati) e agli interdetti (nonché agli inabilitati) non possono essere accettate se non con il beneficio d’inventario, considerandosi inefficace l’eventuale accettazione pura e semplice manifestata per loro conto (artt. 471472), proprio perché non debbano rischiare di subire gli eventuali effetti di possibili esposizioni debitorie pervenute per successione.

La stessa regola è estesa, ai sensi dell’art. 473, alle persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti, ma non alle società, come modificato dall’art. 1, comma 2, L. n. 192/2000.

Vi è da aggiungere che l’accettazione pura e semplice di eredità equivale a rinuncia irrevocabile ad avvalersi del beneficio d’inventario e che la confluenza tra i patrimoni comporta l’estinzione per confusione di debiti e crediti reciproci del defunto e dell’erede con la responsabilità illimitata per tutti i debiti ereditari. Per entrambi tali motivi, se l’attivo ereditario non bastasse a pagarli, l’erede sarebbe comunque responsabile con il proprio patrimonio per i debiti del de cuius; naturalmente altrettanto i creditori dell’erede possono attaccare quanto dallo stesso ereditato e confluito nel suo patrimonio.

Si è detto che l’accettazione beneficiata è esperibile a prescindere da qualsiasi eventuale divieto del testatore (art. 470, comma 2) con la conseguente nullità della relativa clausola ma non dell’istituzione ereditaria in sé; se poi vi sia una pluralità di chiamati l’accettazione beneficiata dichiarata da uno di essi vale anche per gli altri (fermo il diritto successivo di accettare semplicemente), indipendentemente dal fatto che non vi sia coincidenza tra il dichiarante e chi predispone l’inventario.

L’accettazione con beneficio d’inventario è dunque un negozio complesso nel quale la volontà di acquisire il patrimonio del defunto si unisce alla volontà di limitare la propria responsabilità con la separazione dei patrimoni. L’erede pertanto assume tutti i diritti/obblighi del de cuius (esclusi quelli estinti con la morte) per rispondere dei debiti ereditari solo fino alla concorrenza dell’attivo ereditario.

Gli effetti dell’accettazione beneficiata, oltre a quelli finora indicati, sono evidenti nella priorità che hanno le ragioni dei creditori dell’eredità e dei legatari sul patrimonio ereditario, pur essendo dispensati dal domandare la separazione dei beni secondo gli artt. 512 e ss. se vogliono conservare una tale posizione anche nel caso che l’erede decada dal beneficio d’inventario o vi rinunci (art. 490).

Esiste una responsabilità attribuita all’erede beneficiato per l’amministrazione dell’eredità che ai sensi dell’art. 491 è limitata alle ipotesi di colpa grave e quindi al risarcimento del danno da essa eventualmente derivante. La titolarità acquisita su tali beni peraltro non lo esonera dal poterne disporre solo previa autorizzazione giudiziaria ex art. 493, necessaria per i beni immobili fino alla conclusione della vicenda ereditaria, contrariamente al termine di soli cinque anni dall’accettazione previsto per i beni mobili.

L’erede così decade dal beneficio d’inventario se manca tale autorizzazione, se nell’inventario sia stata omessa in malafede l’indicazione di beni o siano state inserite passività inesistenti; tutte situazioni da accertarsi giudizialmente perché producano i loro effetti.

2.2. La procedura di accettazione beneficiata e la fase di liquidazione

L’erede che voglia accettare con beneficio d’inventario sottoscrive la sua dichiarazione che, secondo quanto disposto dall’art. 484, è ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione per poi essere inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale.

Per produrre gli effetti voluti, la dichiarazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario dei beni ereditari entro il termine e con le diverse decorrenze che prestabilisce il codice civile, a seconda che il chiamato sia già o meno nel possesso dei beni stessi.

L’elaborazione preventiva di una valutazione della consistenza dell’attivo patrimoniale è certamente comprensibile per il chiamato che, a conoscenza della pendenza di debiti ereditari di una certa entità, voglia avere una visione completa della situazione che lo aspetta, già orientato a mantenere la distinzione tra il proprio patrimonio e quelle del de cuius.

L’inventario deve essere comunque concluso entro tre mesi dall’apertura della successione quando il chiamato si trovi nel possesso dei beni, mentre in assenza di una tale condizione lo stesso termine decorrerà dal giorno della dichiarazione di accettazione beneficiata che potrà anche seguire l’inventario stesso, purché eseguita entro i 40 giorni successivi.

La mancata o ritardata esecuzione degli adempimenti previsti riconduce il soggetto alla qualifica di erede puro e semplice con tutto ciò che ne consegue in termini di commistione tra i due patrimoni.

A tale proposito “l’articolo 484 c.c., nel prevedere che l’accettazione con beneficio d’inventario si fa con dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, delinea una fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi gli adempimenti ivi previsti, cosicché, se, da un lato, la dichiarazione di accettazione con beneficio d’inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra perciò in “universum ius defuncti” (…) d’altra canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità (…) che è condizionata anche alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza dell’inventario, in mancanza del quale l’accettante è considerato erede puro e semplice..”. 2

Realizzata la fase introduttiva della procedura secondo le forme prescritte, successivamente l’erede beneficiato dovrà procedere nel rispetto di ulteriori prescrizioni, riguardanti fra tutte il divieto di disporre dei beni senza l’autorizzazione del tribunale e l’iter previsto per la liquidazione dei beni ai creditori, sempre rischiando, in caso di inosservanza, la decadenza dal beneficio d’inventario.

Successivamente si apre la fase della liquidazione in cui, anche direttamente, l’erede ai sensi dell’art. 495 dovrà provvedere al pagamento di creditori e legatari, nonché redigere un rendiconto finale.

Si tratta di una fase in cui assumono rilevanza profili eminentemente tecnici (ad esempio in caso vi sia opposizione da parte dei creditori) per gestire i quali è previsto l’intervento del notaio che richiederà di presentare entro un certo termine le dichiarazioni di credito formulate dai creditori stessi, dovendo successivamente procedere alla liquidazione dell’attivo ereditario e alla formazione dello stato di graduazione dei crediti per il relativo e completo soddisfacimento in base ai rispettivi privilegi degli interessati (art. 499).

Lo stato di graduazione, divenuto definitivo (o passata in giudicato la sentenza che decide su eventuali reclami), costituisce titolo esecutivo contro l’erede (art. 502) e l’inosservanza sulla predisposizione dello stato di graduazione nei termini o sulla procedura di liquidazione comporta il decadimento dal beneficio d’inventario che può essere fatto valere dai creditori stessi del defunto o dai legatari (art. 505) ai quali in costanza di liquidazione è preclusa la possibilità di promuovere azioni esecutive (art. 506).

Sempre per le particolari prerogative tipiche di questa fase e per evitare possibili responsabilità l’erede beneficiato può scegliere di “rilasciare” i beni ai creditori, chiedendo al Tribunale la nomina di un curatore dell’eredità perché provveda alla gestione dei beni in vista del soddisfacimento delle ragioni creditorie. Ai sensi dell’art. 507 pertanto la consegna dei beni al curatore solleverà l’erede beneficiato da ogni responsabilità per i debiti ereditari, scongiurata così la temuta decadenza dal beneficio d’inventario e la conseguente riconduzione allo stato di erede puro e semplice.

3. Modi di accettazione dell’eredità

L’accettazione può essere espressa e tacita (art. 474), purché sia pura e semplice; è chiaro difatti che l’accettazione con beneficio d’inventario, da attuarsi secondo la particolare procedura finora descritta, non possa che essere dichiaratamente espressa.

L’art. 475 richiede, a pena di nullità, che la dichiarazione di accettazione dell’eredità (o dell’assunzione di erede) sia formalizzata con atto pubblico o scrittura privata, ma il compimento da parte del chiamato di un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non potrebbe essere realizzato se non nella qualità di erede, comporta l’automatica accettazione dell’eredità per comportamenti concludenti, ossia attraverso condotte o iniziative che il soggetto pone in essere, motivato da un implicito intento negoziale (art. 476).3 E’ il caso del chiamato all’eredità che paghi i debiti ereditari o che disponga dei beni pervenutigli, anche ad esempio concedendoli in locazione; viceversa non perfezionano accettazione tacita tutti quegli atti che il chiamato compia per fini esclusivamente conservativi o di vigilanza e di ordinaria amministrazione.

L’art. 477 espressamente prevede che la donazione o la cessione dei diritti di successione da parte del chiamato a terzi o agli altri chiamati comporti accettazione tacita dell’eredità, così come per l’art. 478 anche la rinunzia ai diritti di successione, compiuta verso corrispettivo o a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione; naturalmente diversa è l’ipotesi di una rinuncia a titolo gratuito a favore degli altri chiamati, perché l’espressione di una simile volontà, quale libera manifestazione del rinunciante, è certo inconciliabile con una titolarità comunque e tacitamente acquisita dei beni.

Una rinuncia verso corrispettivo e agli altri chiamati presuppone invece, come si accennava, un atto dispositivo, un’alienazione dei propri diritti di successione, giustificando pertanto il passaggio dell’accettazione tacita, poiché solo l’erede e non il semplice chiamato potrebbe legittimamente percepire il corrispettivo sulla base appunto di un titolo.

Riassumendo, perché ricorra accettazione tacita dell’eredità occorrono due requisiti: un comportamento giuridicamente rilevante e la consapevolezza in chi lo compie della propria delazione, indipendentemente dalla sussistenza o meno della volontà di accettare l’eredità stessa. 4

Se il chiamato muore senza avere accettato l’eredità, il relativo diritto si trasmette ai suoi trasmissari (cioè ai suoi eredi), costituendo tale ipotesi l’unica di acquisto a titolo derivativo di accettazione ereditaria ai sensi dell’art. 479. Se tra i trasmissari solo uno di essi accetta l’eredità (non essendo gli altri d’accordo per accettare o rinunciare), ne acquista da solo tutti i diritti e soggiace a tutti i pesi ereditari con l’esclusione di chi non ha accettato.

Si è detto che il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni dal giorno di apertura della successione, dal verificarsi della condizione, se l’istituzione dell’erede è condizionata o dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta giudizialmente la filiazione. Anche per i chiamati cd ulteriori, ossia coloro che sono delati successivamente ai primi (impossibilitati o rinuncianti), il termine decennale comincia a decorrente dall’apertura della successione, escluso il caso che riguarda il chiamato che abbia acquisito la qualifica di erede poi venuta meno (perchè annullata l’accettazione per violenza o dolo o per il rinvenimento di un testamento successivo): il termine di prescrizione per gli ulteriori chiamati decorre quindi dal momento in cui la delazione è diventata attuale, ad esempio dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento dell’accettazione per violenza o dolo (art. 480).

La necessità di una continuità in genere per la certezza dei traffici giuridici e dei rapporti economici tra titolarità del defunto e del suo successore giustifica la fissazione di un termine abbreviato che chiunque abbia interesse può richiedere all’autorità giudiziaria affinché il chiamato manifesti la sua decisione (actio interrogatoria), vanificato dall’eventuale inerzia il diritto di accettare. Possono proporre l’azione i cd chiamati ulteriori i quali potrebbero succedere in caso di mancata accettazione da parte del primo chiamato, i legatari, i creditori dell’eredità e quelli personali del primo chiamato, nonchè l’esecutore testamentario e il curatore dell’eredità giacente (art. 481).

Sempre su un piano distintivo tra i modi di accettazione vale la pena ribadire che, durante i termini stabiliti per realizzare l’inventario, il chiamato può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, compiere gli atti conservativi, di vigilanza, di amministrazione temporanea oppure può procedere alla vendita dei beni autorizzata dall’autorità giudiziaria (art. 460); altresì può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità (art. 486), ma in deroga all’art. 476 una tale attività in particolare non integra i requisiti per un’accettazione tacita, mirando solo alla conservazione del patrimonio ereditario.

Diversamente l’accettazione è tacita quando può essere desunta dal compimento di atti del chiamato che si appalesino concludenti e rilevanti soprattutto per quanto riguarda la loro incompatibilità con una rinuncia.5 Il pagamento transattivo di un debito del defunto effettuato dal chiamato con denaro dell’asse ereditario configura quindi la sua accettazione tacita dell’eredità, non potendo essere accettato il relativo impegno se non da colui che agisce come erede; diversa è l’ipotesi del pagamento con denaro proprio di un debito ereditario, mancando la conferma di una volontà orientata all’acquisizione dello status di erede.6 Così la riscossione di canoni locativi di un bene ereditario, atto dispositivo e non meramente conservativo, integra i presupposti per un’accettazione tacita ex art. 476.7

4. L’impugnazione dell’atto di accettazione

L’accettazione espressa o tacita può essere impugnata solo per violenza o dolo. E’ chiaro che per la prima le contestazioni riguarderanno l’atto in sé, mentre per la seconda oggetto d’impugnazione sarà l’atto che il chiamato abbia compiuto solo in virtù del suo diritto di erede. Non è possibile impugnare un’accettazione per errore, trattandosi comunque di errore vizio e non ostativo, poiché nel caso non sussisterebbe volontà di accettazione e l’erede, per evitare un’erronea valutazione del patrimonio ereditario, può comunque accettare con beneficio d’inventario.

L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o scoperto il dolo; naturalmente l’accertamento di una coazione fisica al posto di quella prettamente psicologica richiede un’azione di nullità la cui prescrizione è decennale. Legittimati sono i soggetti nel cui interesse è prevista l’azione e con la sentenza di annullamento l’accettazione perde efficacia ex tunc e viene ripristinata la situazione giuridica anteriormente esistente.

FONTE ALTALEX.IT

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