La cedolare secca, introdotta come tassa alternativa all’IRPEF, consente ai proprietari di immobili destinati ad uso abitativo affittati di pagare il 21% del canone annuale al posto di vedersi tassare il reddito derivante dalla locazione. Questo regime di tassazione, che in caso di contratto a canone concordato scende dal 21 al 10%, aveva finora coinvolto solo gli immobili residenziali ma potrebbe tra poco riguardare anche quelli ad uso commerciale.
La proposta di allargare la cedolare secca anche a capannoni, uffici e negozi non è nuova, ma la sua rivisitazione potrebbe ben presto diventare realtà.
Negli ultimi anni molti osservatori sull’immobiliare hanno registrato una grande svalutazione degli immobili commerciali, svalutazione che nel caso degli uffici ha toccato picchi del -3,4% e che in tanti imputano anche alla importante tassazione a cui è sottoposto il mercato immobiliare. L’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico OCSE, ha recentemente pubblicato, ad esempio, il suo Tax Policy Reform evidenziando l’aumento della tassazione sul mattone in Italia negli ultimi 5 anni.
Se da una parte quindi, questa flat tax potrebbe dare un po’ di respiro anche al settore degli immobili commerciali, questo non vuol dire che automaticamente la cedolare potrebbe bastare per rivitalizzare le compravendite e salvare i commercianti colpiti dalla crisi economica.
In dubbio, anche, il fatto che la cedolare, da sola, possa bastare a contrastare il fenomeno dell’evasione. Sugli immobili destinati ad uso abitativo la tassa ha ridotto il tax gap di circa il 40%, in virtù del fatto che la cedolare, riducendo la somma da versare, ha reso meno esoso dichiarare l’imponibile.
Per uffici, capannoni e negozi, però, il fenomeno dell’evasione è da sempre più contenuto dal momento che spesso si presenta l’esigenza di dedurre i costi presentando un contratto di locazione regolare, indispensabile anche per le volture e le abilitazioni amministrative.
fonte immobiliare.it uscita del 20 ottobre 2017